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Crisi debito europeo: Krugman: "La crisi è la vendetta di chi non è stato perdonato"

Ultimo Aggiornamento: 15/10/2014 13:26
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Crisi, i greci non possono più permettersi l’ospedale

Sulla prestigiosa rivista medica The Lancet è stato pubblicato pochi giorni fa un articolo che rivela come i greci stiano «perdendo la vita» a causa dei tagli al sistema sanitario imposti dalla troika (Commissione europea, Bce, Fondo monetario internazionale). Lo studio del The Lancet, che si intitola “Gli effetti sanitari della crisi finanziaria: presagi di una tragedia greca”, è opera dei dottori Alexander Kentikelenis e David Stuckler, della Cambridge University, del professor Martin McKee, della London School of Hygiene and Tropical Medicine e di numerosi altri autorevoli medici e studiosi. I loro dati sono ricavati da fonti ufficiali, ovvero dai documenti presentati dal governo greco e dalle statistiche Uesul reddito e le condizioni di vita, e riguardano il periodo che va dall’inizio della crisi nel 2007 fino alla prima metà del 2011.

Gli autori dello studio rivelano che, dal 2007 a oggi, i bilanci degli ospedali pubblici in Grecia sono stati tagliati almeno del 40%. Contemporaneamente a questi gravi tagli, negli ospedali pubblici è aumentato il numero di accettazioni (del 24 % nel 2010 e dell’8% nella prima metà del 2011). Ciò è accaduto come conseguenza del fatto che sempre più persone non possono permettersi di rivolgersi a strutture private. Infatti, con riferimento allo stesso periodo, il numero di accettazioni negli ospedali privati è diminuito del 25-30%. Nel rapporto si evidenzia, inoltre, come gran parte della popolazione greca abbia ormai difficoltà a pagare persino i 5 Euro di ticket per la degenza in un ospedale pubblico. A tale inquietante scenario, occorre aggiungere il fatto che molte ditte farmaceutiche hanno interrotto le forniture agli ospedali pubblici greci, in quanto non più in grado di pagare i debiti.

Come risposta all’impossibilità di ricevere cure nelle strutture pubbliche, nelle grandi città greche sono sorte negli ultimi tre anni numerose cliniche volontarie di strada, organizzate e gestite da diverse Ong, le quali riferiscono di un drammatico aumento del numero di greci che si rivolgono a queste strutture mobili, specie se disoccupati. Secondo i dati dello studio, infatti, molti disoccupati non possono più permettersi farmaci speciali, come ad esempio l’insulina in caso di diabete.

Lo studio rivela, inoltre, dei dati sconcertanti sull’incremento dei suicidi, che risultano aumentati del 17% tra il 2007 ed il 2009, mentre dati non ufficiali del 2010 parlano di un aumento del 25% rispetto al 2009. Soltanto nella prima metà del 2011 c’è stato un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo del 2010, come riferisce il ministro della Sanità. Sono aumentate le infezioni di Hiv (del 52% nel 2010) e l’uso di eroina (del 20% nel 2009). Un terzo dei programmi sociali del Paese è stato tagliato, costringendo molti tossicodipendenti al ricovero negli ospedali pubblici sovraffollati.

Nonostante questo scenario catastrofico, da guerra post-atomica, Mathias Mors, rappresentante della Commissione europea in Grecia, ha ribadito il 12 ottobre scorso, in un’intervista rilasciata al giornale greco Kathimerini, la necessità di ulteriori tagli alla sanità pubblica.
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Quei rendimenti dei Btp oltre quota 6%
campanello d'allarme del rischio bancarotta
E' il segnale che si è raggiunta una soglia estremamente pericolosa. Verso un aggravio di 5 miliardi sul costo del debito. I precedenti di Irlanda e Grecia
di MAURIZIO RICCI

Più che un campanello d'allarme è una sirena. Lo Stato italiano che, da questa settimana, si trova a pagare oltre il 6 per cento di interesse sui suoi Buoni del Tesoro decennali non è solo un record nell'era dell'euro: è il segnale che si è raggiunta una soglia estremamente pericolosa. Se vale l'esperienza che i navigatori dei mercati finanziari hanno tratto dagli ultimi due anni di crisi del debito pubblico europeo, siamo molto vicini al limite, oltre il quale la speculazione diventa fuori controllo e, se non si riesce rapidamente a ridimensionare il costo dei titoli, si aprono solo le strade del salvataggio europeo o della bancarotta.

Il primo allarme rosso viene dai mercati secondari, quelli in cui i titoli italiani vengono scambiati, giorno per giorno, dopo l'emissione. Venerdì, praticamente all'indomani del vertice europeo che dovrebbe salvare l'euro e l'Italia, i prezzi dei Btp hanno subito uno smottamento, che ha fatto salire i rendimenti (i quali si muovono in direzione inversa ai prezzi) oltre il 6 per cento. Ciò che conta è che, di fatto, sono tornati al livello del 20 ottobre, come se gli interventi d'emergenza dei governi europei e gli impegni assunti dal governo italiano nei giorni successivi non fossero mai esistiti. L'Unione europea può benedire la manovra italiana, ma i mercati, almeno per ora, non la bevono. Dato che, nella situazione attuale, più dei fatti concreti e dei provvedimenti annunciati contano le aspettative psicologiche, se ne deduce che l'Italia sconta una crisi di credibilità. Berlusconi può fare la faccia feroce sui tagli alla spesa, sui licenziamenti, sulle privatizzazioni, ma i mercati, per il momento, non lo prendono sul serio, al contrario di quanto avviene con il governo spagnolo, oggi ai margini del ciclone.

Il secondo allarme rosso viene dai mercati primari, cioè quelli a cui si rivolge il Tesoro quando emette titoli nuovi di zecca. Qui gli attori principali sono un po' diversi da quelli dei mercati secondari: si tratta, per lo più, di banche, fondi pensione, insomma, non proprio la prima linea della speculazione. Tuttavia, nell'asta di venerdì, il Tesoro, per collocare i titoli, ha dovuto offrire rendimenti superiori al 6 per cento. E' uno scalino di oltre quindici punti percentuali, rispetto all'asta di un mese fa. L'elemento significativo è che sul mercato primario, al contrario di quanto avviene su quelli secondari, la Banca centrale europea non interviene, per evitare di essere accusata di stampare moneta per finanziare i debiti dei governi. Di fatto, senza l'ombrello della Bce, il debito italiano ha subito un secco crollo.

Il problema è che, sui mercati finanziari, le aspettative spesso si realizzano: il pessimismo sull'Italia, facendo salire il costo del debito, rende più difficile l'aggiustamento e, di conseguenza, più facile il crollo. L'Italia rischia di pagare assai cari smottamenti come quelli di venerdì. Il 29 ottobre dell'anno scorso, il debito italiano costava circa il 4 per cento, due punti in meno di adesso. Ancora a giugno, i rendimenti erano inferiori al 5 per cento. La differenza equivale a moneta sonante. Nei prossimi 12 mesi, l'Italia emetterà titoli per 250 miliardi di euro circa.

Se le quotazioni resteranno inchiodate al 6 per cento, il Tesoro si troverà a pagare 5 miliardi di interessi in più, rispetto a quanto avrebbe pagato un anno fa. Rispetto a giugno scorso, il maggior costo è vicino ai 3 miliardi di euro. Le manovre del governo per risanare la finanza pubblica e raggiungere il pareggio di bilancio rischiano di essere volta a volta svuotate dal maggior costo degli interessi, costringendo via via lo stesso governo a rimpolpare, con nuove misure, la posta e a rendere sempre più soffocante l'austerità.

Ma non è detto che i rendimenti restino inchiodati al 6 per cento. E le prospettive si fanno buie. Analisti ed esperti di mercato hanno calcolato che, nel caso di Grecia, Portogallo e Irlanda, la situazione è precipitata, costringendo l''Europa ad un vero e proprio salvataggio, quando i rendimenti sui rispettivi titoli sono arrivati al 7 per cento. Ma hanno anche verificato che, man mano che i rendimenti salgono, la deriva diventa sempre più veloce: ci vuole più tempo per passare dal 5 al 5,5 per cento, di quanto ne occorra per passare dal 5,5 al 6. Ancora meno dal 6 al 6,5 e, poi, al 7 per cento. Alla fine, l'ultimo crollo è questione di due-tre settimane. Per fermare la frana, probabilmente, l'Italia non può permettersi di aspettare Natale.
(29 ottobre 2011)

www.repubblica.it/economia/2011/10/29/news/quei_rendimenti_dei_btp_oltre_quota_6_campanello_d_allarme_del_rischio_bancarotta-24123031/?ref...
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Bankitalia: debito Italia sostenibile anche se tassi 8%. Priorità riforme e riduzione del debito

Cronologia articolo2 novembre 2011
In questo articolo

Argomenti: Andamento dei tassi | Banca d'Italia | Ignazio Visco




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Bankitalia: debito Italia sostenibile anche se tassi 8%
Il debito pubblico italiano è sostenibile e rimarrebbe stabile, o in leggero calo, nei prossimi 2 anni anche se i tassi di interesse sui titoli di stato arrivassero all'8% e la crescita fosse uguale a zero. È quanto emerge da uno "stress test" della Banca d'Italia contenuto nel rapporto sulla stabilità finanziaria.

Riforme e riduzione del debito
«L'impegno assunto in sede europea a ridurre il debito pubblico e avviare un ampio programma di riforme strutturali va onorato con rapidità e coerenza - sottolinea il Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, nel rapporto, chiarendo che bisogna «proseguire con decisione nell'azione di risanamento delle finanze pubbliche» e allo stesso tempo rimuovere «gli ostacoli a uno sviluppo sostenuto dell'economia».

Sistema bancario solido
«Il sistema bancario italiano non è fonte di instabilità - sottolinea poi Visco - la sua posizione patrimoniale è solida; sarà ulteriormente rafforzata nell'ambito delle iniziative in corso a livello europeo». Tuttavia, prosegue il Governatore, «esso sta subendo i contraccolpi delle tensioni sul debito sovrano e del rallentamento congiunturale. Simili tensioni investono i sistemi bancari degli altri maggiori paesi, ma con minore intensità».

www.ilsole24ore.com/art/economia/2011-11-02/bankitalia-debito-italia-sostenibile-174826.shtml?uuid=...
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L'Europa non deve cedere allo scoramento. Serve il colpo di reni

di Carlo Azeglio Ciampi
Cronologia articolo2 novembre 2011Commenti (10)
In questo articolo
(LaPresse)
I Paesi europei, uno per uno, e l'Europa tutta hanno mezzi, intelligenze, forze per superare l'attuale temperie finanziaria che tanto preoccupa gli Stati, Italia in testa. Guai a farsi prendere dallo scoramento. La storia di questo continente glorioso dimostra quale sia il cammino straordinario che i suoi cittadini hanno saputo compiere attraversando tragedie immani, ma anche momenti di irripetibile sintesi politica e di eccezionale generosità culturale.

Guai a dimenticare chi siamo. Anche l'Italia, anche noi, abbiamo lo spirito, la tenacia, le risorse che servono per recuperare quella fiducia che oggi appare incrinata, quella credibilità che oggi sembra scomparsa. Sta in noi; sta in noi, come europei, sta in noi come italiani ritrovare il senso dell'unificazione di un continente.

ARTICOLI CORRELATI
Un manifesto per risollevare l'Europa
La missione di una sola moneta per nazioni che nel Novecento erano nemiche in armi e ora si ritrovano sotto l'unico mantello dell'Euro, moneta forse "visionaria", ma proprio per questo più forte perchè fondata sulla storia di popoli antichi e sul futuro di un continente destinato, si spera il più presto possibile, a guarire l'attuale zoppìa politica. È, questo, l'unico vero male dell'Europa: la mancanza di una vera leadership unitaria, di una vera politica economica comune che, certo, nessun vertice bilaterale potrà sanare in modo serio e duraturo. Uno squilibrio destinato, prima o poi – con la persuasione della ragione politica o con la forza brutale mostrata finora dai mercati finanziari globali – ad essere superato. Anche l'Italia potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo importante in questa costruzione comune, ma sembra rinunciarvi. Colpevolmente.

Sottoscrivo dunque l'iniziativa del Sole 24 Ore di pubblicare un Manifesto per risanare l'Europa: è fondamentale raggiungere un vero Governo economico unico della Ue così come sono importanti nuovi strumenti finanziari quali gli eurobond e le indicazioni per un vero mercato continentale delle banche. Quanto alla nuova missione della Bce, credo che si imponga una riflessione sulla necessità di proporre un adeguamento dei Trattati europei con una più spiccata attenzione al tema della stabilità e non più solo a quello del controllo dell'inflazione.

Chi guida il Paese sa bene che occorre un colpo d'ala, un segno di discontinuità che vada anche oltre l'enunciazione di un programma affidato a una missiva destinata alle cancellerie europee e agli investitori di tutto il mondo. L'Italia è un paese straordinario e in grado di rispondere con abnegazione e spirito di sacrificio se vede obiettivi chiari, ambiziosi, condivisibili e nobili. Sta alla leadership politica definirli e realizzarli, passo passo, senza perdere di vista la coesione sociale. Ricordo bene quale fosse lo scetticismo dei tedeschi quando tentammo l'aggancio ai paesi di testa per l'ingresso dell'Italia nell'Euro.

Lo spread allora era oltre 600 punti. Lo portammo a 20: con le riforme, con l'azione di contenimento della spesa, con una intensa opera di convicimento presso tutti i principali interlocutori internazionali, tedeschi in testa. Ringrazio il direttore Roberto Napoletano che nel suo articolo di fondo pubblicato ieri ha ricordato lo «sta in noi» che ho pronunciato molte volte come invito e sprone agli italiani perchè, nelle più diverse circostanze, liberassero le molteplici energie proprie del nostro popolo. È un tempo difficile, è un tempo per riforme ai limiti della temerarietà. Chi può lo faccia, chi sa di non potere, ne tragga le conseguenze.

www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-02/leuropa-deve-cedere-scoramento-082444.shtml?uuid=...
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09/11/2011 13:35
 
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13.12 – Spread a 571. Lieve frenata del differenziale tra Btp e Bund tedeschi, che si attesta a quota 571

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/09/mercati-fidano-dellannuncio-berlusconi-spread-milano-negativa...
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09/11/2011 14:03
 
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Il settore bancario italiano è a basso rischio. Lo decreta Standard and Poor's, in una delle giornate piu' tempestose per gli asset della Penisola sulla base di una nuova metodologia che conferma per il sistema bancario italiano il livello 3 per il rischio, lo stesso delle banche statunitensi, britanniche o andando più lontano coreane e neozelandesi, su una scala da 1 (il rischio minimo) a 10 (il massimo). Per la cronaca è la Svizzera la capoclasse (livello 1), mentre la Spagna è confermata a 4 e il Portogallo al 5. Resta al livello 3 anche al 'rischio economico' e lo stesso voto viene assegnato al 'rischio di settore'.

www.repubblica.it/politica/2011/11/09/dirette/diretta_berlusconi_crisi-24697269/?re...
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17/11/2011 20:12
 
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Gli spread spagnoli si avvicinano a quelli italiani a tre giorni delle elezioni del post-Zapatero

di Vito Lops
Cronologia articolo17 novembre 2011
In questo articolo

Argomenti: Elezioni | Elena Salgado | Italia | Madrid | Fitch




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Spagna e Italia tornano vicine. Gli spread dei rispettivi titoli governativi con il Bund tedesco, considerato il titolo più affidabile dell'area euro in questo momento, si sono avvicinati con rapidità impressionante nelle ultime ore. Anzi, a dir la verità, c'è stato per qualche ora il sorpasso, in termini di rischio percepito, dei titoil iberici su quelli italiani. Intorno alle ore 13 il differenziale BTp/Bund, sulla scadenza a 10 anni, è sceso sotto quota 500 (a 494 punti) con il rendimento del decennale calato al 6,83%.

Mentre lo spread tra Bonos e titoli tedeschi ha sfondato la soglia tecnica e psicologica dei 500 punti per la prima volta dall'introduzione della moneta unica, con il rendimento dei titoli spagnoli a 10 anni oltre il livello critico del 7 per cento.

Eppure, solo l'8 novembre lo spread itailano chiudeva le contrattazioni a 550 punti e quello spagnolo a 409 punti: ovvero il rischio Paese tra Italia e Spagna valeva un punto e mezzo percentuale. Margine oggi quasi del tutto annullato (dato che lo spread spagnolo ha chiuso intorno a quota 470 e quello italiano a 490).

Che cosa sta succedendo? Innanzitutto va detto che è in corso un ulteriore spostamento degli investitori istituzionali verso i governativi tedeschi. Non a caso i rendimenti offerti dai titoli di Berlino, sia a breve che lunga scadenza, continuano ad aggiornare i minimi storici con tassi reali (depurati dall'effetto-inflazione) abbondantemente negativi. Ciò sta comportando un innalzamento dei rendimenti (con conseguente caduta dei prezzi che si muovono in modo inversamente proporzionale) anche delle altre Triple A d'Europa (come Francia, Olanda e Austria).

Quindi, gli spread (essendo una differenza) si impennano anche per effetto dell'ulteriore caduta dei rendimenti dei Bund, oltre che per il concomitante balzo di quelli dell'ormai sempre più estesa area periferica dell'Eurozona. Ad accendere ulteriormente la miccia è stato un report di Fitch che minacciava un peggioramento dell'outlook delle banche Usa più esposte ai Paesi dell'area euro.

Oltre a ciò, tornando alla Spagna, oggi sui mercati è arrivato un dato preoccupante. L'asta di titoli a 10 anni è stata un flop sia sul lato della domanda (raccolti 3,5 miliardi, meno dei 4 miliardi offerti) che su quello cedolare. Madrid non è riuscita a coprire l'offerta nonostante abbia alzato il tasso fino al massimo del 7,088%. Notizia (questa del mercato primario) piombata subito sul mercato secondario che ha registrato un'ulteriore accelerazione dei rendimenti dei Bonos.

Il ministro delle finanze della Spagna, Elena Salgado, è tornata a rassicurare gli investitori dopo l'esito dell'asta: «Il Paese non ha bisogno di salvataggi. Il nostro debito è perfettamente sostenibile». Ma al momento i mercati, a tre giorni dalle elezioni parlamentari per il rinnovo delle Camere che mettono fine all'era Zapatero, non la pensano così.

«I risultati deludenti dell'asta spagnola di oggi accelereranno ulteriormente la convergenza dei rendimenti della Spagna con quelli dell'Italia», dichiara Richard McGuire, fixed-income strategist di Rabobank, sottolineando che questo aumenta le preoccupazioni sulle capacità di Madrid di riuscire a finanziarsi autonomamente.

Diverso, invece, il flusso di notizie sull'Italia. Il periodo nero (spread a 575 toccati una settimana fa) sembra più lontano dopo le dichiarazioni di Monti oggi al Parlamento («l'Europa siamo noi») e dopo gli apprezzamenti ricevuti dai principali esponenti politici dell'Eurozona. E, male certo non fa, è arrivato in giornata anche un report positivo dell'agenzia Fitch.


www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-11-17/spread-spagnoli-superano-quelli-161656.shtml?uuid=...
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“La Germania ha un piano segreto
per commissariare gli Stati in crisi” Lo rivela il Daily Telegraph online citando un documento di sei pagine del ministero degli Esteri tedesco. Il testo esamina anche esplicitamente le possibili strade per limitare le modifiche al trattato per renderne più facile la ratifica. Questo anche per dissuadere Londra da un referendum sull'UeLa Germania ha un piano segreto per la creazione di un Fondo monetario europeo che potrà essere in grado di sostituirsi alla sovranità degli stati membri in difficoltà. Lo scrive il Daily Telegraph online citando un documento di sei pagine del ministero degli Esteri tedesco.

Il documento esamina anche esplicitamente le possibili strade per limitare le modifiche al trattato per renderne più facile la ratifica. Questo – scrive il quotidiano britannico – anche per dissuadere Londra da un referendum sull’Ue. Il Fondo avrà il potere di mettere i Paesi in crisi in amministrazione controllata e di gestire la loro economia. Il documento, intitolato “Il futuro dell’Ue: i necessari miglioramenti di integrazione politica per la creazione di un’Unione di stabilità”, dichiara che le modifiche al trattato sono un primo passo “con cui l’Ue si svilupperà verso un’unione politica”. “Il dibattito sulle modalità verso un’unione politica – conclude il documento – deve iniziare appena è tracciata la strada verso l’Unione di stabilità”.

Il documento, scrive il Telegraph, svela che la maggiore economia dell’Ue sta creando le condizioni perchè gli altri paesi europei, che sono troppo grandi per essere salvati, possano fare default, andando così in bancarotta. E questo alimenta i timori che “i piani tedeschi per affrontare la crisi dell’eurozona prevedano un’erosione della sovranità nazionale che potrebbe aprire la strada ad un ‘super stato’ europeo con proprie tasse e piani di spesa decisi a Bruxelles”.

Nel testo si fa anche un riferimento alla modifica dei trattati: “Limitare l’effetto delle modifiche al trattato nei paesi dell’Eurozona renderebbe più facile la ratifica, che tuttavia verrebbe richiesta da tutti gli stati membri (in questo modo sarebbero necessari meno referendum, e questo interesserebbe anche la Gran Bretagna)”.

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/18/germania-piano-segretoper-commissariare-stati-crisi...
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Bankitalia: sofferenze cresciute del 40%
In un anno passate da 73 a 102 miliardi
L'incremento più forte lo hanno registrato i prestiti a rischio verso le famiglie consumatrici: +46,3% a 24 miliardi di euro. I crediti complessivi sono saliti solo del 3,6% a 1.984 miliardi. Adusbef: "Situazione preoccupante per le famiglie"
Banca d'Italia
MILANO - Quasi 30 miliardi di euro in più in un anno: di tanto sono cresciute le sofferenze per le banche italiane, passate dai 72,9 miliardi di fine settembre 2010 ai 102 miliardi di fine settembre 2011. L'incremento in termini percentuali è del 39,9%. È la fotografia scattata dalla Banca d'Italia nel supplemento "Moneta e banche".

Le sofferenze sono, di fatto, prestiti la cui riscossione da parte della banca erogatrice diventa difficile e incerta. Il peso più consistente (oltre la metà del totale) risulta a carico delle società non finanziarie, ossia le imprese, a cui risultano iscritti 66,6 miliardi a fine settembre 2011. Erano 47,6 miliardi a settembre dello scorso anno, con un incremento del 39,9%.

In chiara difficoltà anche le famiglie consumatrici con 24 miliardi (contro i 16,4 miliardi del 2010, +46,3%) e infine le famiglie produttrici con 9,9 miliardi (7,8 miliardi un anno fa, +16,2%). Complessivamente, nello stesso periodo i prestiti risultano in leggero aumento (+3,6%), passando da 1.914 miliardi di fine settembre 2010 a 1.984 miliardi di fine settembre 2011, evidenziando così un netto scarto fra il boom registrato dalle sofferenze e la timida crescita del credito erogato.

L'aumento delle sofferenze bancarie è particolarmente 'preoccupante' le famiglie ed è la "prova provata di una crisi lunga e difficile che interessa soprattutto l'Italia", ma è anche la conseguenza di certe "allegre erogazioni del credito", sostiene il presidente di Adusbef, Elio Lannutti. Si tratta di "prestiti che devono essere iscritti quasi totalmente a perdite nei bilanci delle banche", sottolinea l'Adusbef che chiede un monitoraggio e sanzioni sulle "sofferenze bancarie derivanti da erogazioni ed affidamenti deliberati fuori dai criteri prudenziali sulle meritorietà del credito ad alcuni grandi gruppi industriali, da tempo decotti, ma tenuti in vita da robuste iniezioni di denaro, mediante fidi incautamente rinnovati, se non aumentati".

E, conclude l'Adusbef, con la crisi dei mercati e delle borse, "il fenomeno di incagli e sofferenze, che attualmente viaggia ben oltre il 10% degli impieghi, è destinato ad accentuarsi, e Bankitalia farebbe per una volta opera meritevole qualora riuscisse ad entrare nel merito degli affidamenti 'relazionali' erogati da alcune grandi banche a soggetti senza alcuna meritorietà di credito, a volte concessi o per esigenze clientelari o per pressioni 'amicali', per dare un segnale di sobrietà e rigore, anche con procedure sanzionatorie, a quei comitati fidi che escono dai canoni della prudente gestione del credito e del risparmio".

(19 novembre 2011)

www.repubblica.it/economia/2011/11/19/news/bankitalia_crescono_sofferenze-2...
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Wall Street risolleva le Borse Ue
Rendimenti record per asta Bot
Vola il differenziale di rendimento tra i Btp italiani a 10 anni e i Bund tedeschi torna a quota 510 punti. Piazza Affari chiude sulla parità nonostante le tensioni
di GIULIANO BALESTRERI

MILANO - Asta shock per i Bot a sei mesi. E sulle Borse del Vecchio continente accelerano le vendite, in scia ai timori per la crisi del debito europeo. Poi l'avvio positivo di Wall Street, nel black friday, all'indomani del giorno del Ringraziamento ha permesso di chiudere la seduta in territorio positivo.

In mattinata i ministero dell'Economia, per la prima volta dall'insediamento del governo Monti, ha messo in asta Bot a 6 mesi per 8 miliardi: il rendimento medio è volato al 6,504% dal 3,535% del collocamento di ottobre, ai massimi dal 14 agosto 1997, quando il tasso si fermò al 6,57%. Con un differenziale nei confronti degli analoghi titoli spagnoli salito a 100 punti.

I bond semestrali sono stati collocati per l'intero importo offerto pari a 8 miliardi di euro, a fronte di una domanda pari a 11,7 miliardi. Rendimento record anche per il Ctz: il titolo biennale "zero coupon" è stato piazzato al 7,814%, in aumento di 3,187 punti sull'asta precedente e ai massimi dal settembre 1996 quando il rendimento sfiorò l'8% (fermandosi al 7,99%). La domanda è stata pari a 3,18 miliardi a fronte dei 2 miliardi offerti e assegnati. Il tasso pagato dal Btp con scadenza a due anni è invece volato all'8%, segnando un nuovo massimo dalla creazione dell'euro, mentre quello del Btp a 5 anni è schizzato al 7,81%. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, però ha gettato acqua sul fuoco 1: "L'Italia può convivere per qualche tempo con tassi di interesse del 7%".

Wall Street guadagna oltre lo 0,5% e così Milano chiude poco sopra la parità: +0,12%. In recupero anche Londra (+0,63%), Francoforte (+1,09%) e Parigi (+1,19%). In avvio di seduta aveva pesato anche la decisione di Moody's che ha annunciato di avere tagliato il rating dell'Ungheria 2 a livello di junk bond. Il governo di Budapest ha chiesto aiuto finanziario al Fondo monetario internazionale 3. In calo le Borse asiatiche 4: con Tokyo ha chiuso invariata, mentre Hong Kong ha ceduto l'1,37%, Shanghai -0,72%, Seul -1,04%. A Piazza Affari in rialzo Finmeccanica (+3,50%) e Impregilo (+2,32%), giù Prysmian (-4,69%) e Lottomatica (-3,51%).

Il vertice a tre di ieri, tra Mario Monti, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy ha dato l'ennesima prova che i governi faticano a trovare un'intesa che vada oltre le buone intenzioni. Insomma si discute, ma si fatica ad agire nonostante che i leader di Francia e Germania siano consapevoli che "un crollo dell'Italia porterebbe inevitabilmente alla fine dell'euro, provocando uno stallo del processo di integrazione europea dalle conseguenze imprevedibili".

E, come se non bastasse, la Germania a confermato la propria opposizione all'emissioni di eurobond. Le tensioni si ripercuotono sul rendimento dei titoli di Stato: i Btp a 10 anni salgono al 7,3%, mentre lo spread vola a 498 punti, dopo essere stato a lungo oltre i 510 punti. I Btp a 2 anni, invece, hanno toccato quota 7,49% ai massimi dall'introduzione dell'euro.

Continua, intanto, la discesa dell'euro in calo a 1,32 contro il dollaro, ai minimi dal 13 gennaio scorso, mentre il petrolio Wti è stabile a 96,1 dollari al barile. Ma resta difficile immaginare un repentino cambio di rotta il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno dichiarato che si fidano della Banca centrale europea e non ne toccheranno il mandato di lotta all'inflazione quando proporranno cambiamenti ai trattati dell'Unione europea per raggiungere una maggiore unione fiscale, ma i mercati non sono rimasti impressionati. Anche perché proprio il ministro degli esteri francese, Alain Juppé, aveva chiesto che l'Eurotower giocasse un ruolo più importante nella difesa dell'euro.
(25 novembre 2011)

www.repubblica.it/economia/finanza/2011/11/25/news/apertura_in_rosso_per_le_borse_ue_spread_vola_sull_incertezza_politica-2...
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Più posti di lavoro per uscire dalla crisi
Nell’ultimo decennio, la classe media si è impoverita. Oggi un sistema basato sui super bonus a discapito dell’occupazione non regge più.
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Sara Silano | 22-12-11 | Invia Articolo via E-mail

Se pensate che la diseguaglianza nella distribuzione del reddito sia un problema solo del Terzo mondo siete sulla strada sbagliata. Stati Uniti e Inghilterra sono i due paesi che negli ultimi due decenni hanno visto crescere maggiormente la distanza tra ricchi e classe media. Quest’ultima si è allontanata dalla situazione di discreto benessere a causa di salari ristagnanti, mentre i margini delle società e i profitti hanno conosciuto un vero e proprio boom e così i bonus di molti manager.
Assorbiti dalla crisi del debito sovrano e dagli squilibri globali abbiamo perso di vista quello che è accaduto nei bilanci familiari. Oggi, i consumi languono, i governi chiedono maggiori sacrifici ai cittadini e le banche centrali studiano misure straordinarie per oliare il mercato del credito che si è ingolfato. L’economia, tuttavia, fatica a reagire agli stimoli. Sarà forse perché ci siamo concentrati sui grandi numeri e non sulle famiglie e i lavoratori?

L’indice della diseguaglianza
Gli strumenti per studiare questo aspetto esistono da almeno un secolo. Uno di questi, recentemente rispolverato da alcuni analisti, si chiama coefficiente Gini, che ha preso il nome dallo statistico italiano che lo ha messo a punto nei primi decenni del ‘900. Esso misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito ed è un numero compreso tra zero e uno, dove il primo valore corrisponde alla equidistribuzione (tutti percepiscono lo stesso reddito) e il secondo indica la massima concentrazione.

Come si legge nel report delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano del 2007-08 (quello con i dati più aggiornati su questo tema), gli Usa e l’Inghilterra sono i peggiori tra i paesi sviluppati, entrambi intorno a 0,4 (l’Italia si colloca a 0,36). Un recente report di Société Générale denuncia che oggi 35 milioni di americani (1 su 8) non hanno abbastanza soldi per comprarsi il cibo e aderiscono al programma federale noto come “Food stamp” per acquistare i beni primari. In Italia, ha scritto nei giorni scorsi su La Stampa il nutrizionista Giorgio Calabrese, molti anziani sono costretti a fare “La dieta del frigo vuoto”, ossia a rinunciare agli alimenti più nutrienti perché la pensione non basta per arrivare alla fine del mese.

I ricchi non consumano
Un report del Census Bureau mostra come il reddito mediano (in termini reali) degli americani non sia cresciuto nell’ultimo decennio, fatto che non accadeva dagli anni Trenta, ma al contrario si sia contratto. E, come negli altri paesi anglosassoni, questo fenomeno è stato accompagnato dall’aumento della diseguaglianza. Di fronte a consumi che ristagnano, nonostante le politiche monetarie, alcuni economisti hanno lanciato l’allarme: se la ricchezza si concentra nelle mani di pochi sarà difficile far ripartire la spesa privata.

Nel decennio scorso, l’aumento delle disparità a beneficio di pochi è stato accompagnato da politiche monetarie ultra-espansive che hanno permesso alla classe media di indebitarsi per acquistare tutto ciò che desiderava. In questo senso, Albert Edwards, analista di Sogen, parla di collusione tra politici e banche centrali per derubare la classe media. Al di là di questa visione molto critica, resta il fatto che il sistema è esploso (siamo tuttora nella fase di deleveraging, ossia riduzione del debito) e le conseguenze le sta pagando più di tutti la stessa classe media che è stata impoverita nel passato.

Ritorno al lavoro
Un tunnel senza uscita? Non proprio, se al centro torna il “lavoro”, come principale motore dello sviluppo. La Federal Reserve, ha ricordato Giordano Lombardo, capo degli investimenti di gruppo di Pioneer Investments, nella presentazione dell’outlook 2012, ha posto l’occupazione come obiettivo esplicito di politica monetaria. E’ auspicabile che altri (governi e autorità monetarie) si muovano nella stessa direzione, ma anche che le imprese facciano la loro parte. Negli ultimi anni, molte hanno ristrutturato il business tagliando posti di lavoro e garantendosi in questo modo elevati profitti. Tuttavia, per dirla con le parole di Bill Gross, “Quando i ricchi diventano sempre più ricchi e la classe media fatica ad arrivare alla fine del mese, il sistema scoppia”. Non può essere solo il profitto a dettare le regole, ma la questione è prima di tutto etica e sociale.

www.morningstar.it/it/417/articles/103044/Pi%C3%B9-posti-di-lavoro-per-uscire-dalla-cr...
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Con i mercati europei che si avvitano al ribasso e lo spread italiano che torna a volare oltre i 520 punti si fa presto a concludere che gli investitori finanziari vedono nuovi guai in arrivo per l’euro. Ma per capire davvero quanto siano aumentati negli ultimi mesi il pessimismo e la sfiducia sul futuro della moneta unica può essere utile dare un’occhiata a un paio di paginette del prospetto informativo dell’aumento di capitale di Unicredit che prenderà il via lunedì prossimo. “Rischi connessi alla crisi del debito dell’area euro”, questo il titolo di uno dei paragrafi del voluminoso documento pubblicato. È la prima volta che una grande banca italiana, mentre si appresta a chiedere denaro ai propri azionisti, decide di mettere in guardia i risparmiatori anche da una possibile dissoluzione della valuta continentale. Certo, è solo un’ipotesi tra molte altre che, secondo i manager di Unicredit potrebbero influenzare nei prossimi mesi l’andamento della banca. Il solo fatto che un rischio euro venga menzionato riesce però a dare l’idea delle tensioni e dei timori sul mercato.

“Le preoccupazioni relative all’aggravarsi della situazione del debito sovrano dei Paesi dell’Area Euro potrebbero portare alla reintroduzione, in uno o più Paesi dell’Area Euro di valute nazionali o, in circostanze particolarmente gravi, all’abbandono dell’Euro”. Questo è quanto si legge a pagina 66 del prospetto. Insomma, nei prossimi mesi non è da escludere neppure un ritorno alla vecchia lira. Semplice ipotesi, ovviamente, ma i vertici del secondo gruppo bancario italiano, il più attivo oltrefrontiera con una forte presenza in Germania, non hanno potuto fare a meno di segnalare il rischio euro. “È una forma di tutela legale contro un rischio di carattere sistemico”, precisa una fonte ufficiale di Unicredit.

Un rischio che adesso, però, è diventato ben più concreto rispetto al recente passato. Prospetto a parte, va detto che ieri Unicredit ha trascinato al ribasso l’intera Borsa italiana. Alla vigilia dell’aumento di capitale il titolo del colosso bancario ha perso addirittura il 17 %, che si aggiunge alla caduta del 16 % registrata mercoledì. Il crollo si spiega in parte con il forte sconto (43 %) rispetto al prezzo di mercato a cui le nuove azioni verranno collocate. Molti operatori hanno così preferito vendere adesso per poi ricomprare da lunedì. Ieri, però, è stato l’intero settore bancario a perdere terreno in Borsa per effetto anche della nuova impennata dello spread.

E ad aumentare la sensazione di allarme presente sui mercati ha contribuito anche la notizia dell’improvvisa e inaspettata partenza di Mario Monti alla volta di Bruxelles per alcuni incontri, non meglio specificati, con i vertici Ue. Il premier ha così aperto la sua campagna d’Europa: curiosamente però, per la cosa più importante che farà a palazzo Chigi, le sue doti accademiche non conteranno niente. Quel che serve oggi è un bel po’ di politica: guidare, convincere, mediare. Se, infatti, il premier non riesce a persuadere il duo Merkel-Sarkozy ad abbandonare i furori rigoristi del nuovo Patto fiscale europeo per l’Italia, l’Ue e la sua moneta non c’è futuro. Vedremo poi i particolari, ma appare chiaro che gli investitori non si fidano del cosiddetto “accordo salva euro” a trazione tedesca. Ieri la Borsa di Milano s’è persa per strada 11, 3 miliardi di euro (-3, 6 %) e lo spread Btp-Bund, come detto, è tornato sopra i 520 punti. Se a questo si aggiunge che il differenziale coi titoli tedeschi ieri ha colpito anche Francia (150) e Spagna (380), si capisce che gli investitori si stanno convincendo che l’euro è destinato al decesso e chiedono tassi di interesse adatti alle (future) monete nazionali.

Questo è il quadro che Mario Monti si è trovato davanti ieri a Bruxelles, accompagnato dalle “referenze” di Giorgio Napolitano: “Monti ha tutti i titoli per porre all’Ue questioni che riguardano il modo di garantire rigore e crescita”, ha detto il Colle. “Inoltre – ha aggiunto Napolitano – il decreto approvato dal Parlamento è la prova come l’Italia sia, anche sul debito pubblico, affidabile”. Tanta enfasi è giustificata dal fatto che oggi gli sherpa dei vari governi cominciano la trattativa sulle modifiche alla bozza di Trattato intergovernativo firmata il 9 dicembre. I tempi sono stretti: un paio di settimane per la stesura definitiva, accordo al Consiglio europeo del 30 gennaio, firma definitiva a marzo. Si tratta di un testo pericolosissimo: sanzioni automatiche per gli sforamenti del deficit e un percorso di rientro al 60 % del rapporto debito/Pil a colpi di un ventesimo l’anno (per l’Italia significa 45-50 miliardi), per non citare che le due minacce più gravi. I professori hanno proposto alcuni emendamenti il cui senso è “va bene il rigore, ma bisogna tenere conto del ciclo economico”, cioè che siamo in recessione. Tradotto: se non cresciamo, anche con la spesa pubblica, siamo morti.

Ora che sa cosa vuole fare, però, a Monti resta la cosa più difficile: convincere la Merkel e gli altri paesi nordici. Monti insomma cerca alleati (Polonia e Belgio non bastano): oggi ci proverà con Sarkozy, la commissione è già dalla sua parte e mercoledì potrà presentarsi alla Cancelliera tedesca avendo chiara la situazione. Con una freccia al suo arco: con la Gran Bretagna già fuori dai giochi, il potere di veto dell’Italia è enorme.

di Vittorio Malagutti e Marco Palombi

da Il Fatto Quotidiano del 6 gennaio 2012

www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/06/unicredit-a-chi-investe-leuro-potrebbe-saltare...
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Parigi perde la tripla A, l'Italia e la Spagna due livelli di credito. Ft: tagliato anche il giudizio di merito di Vienna. Ma la reazione, anche a livello di finanza, è stata tiepida. Le Borse che hanno segnato punti negativi - come Piazza Affari - l'hanno fatto più per problemi interni all'economia nazionale

Il quartier generale di Standard & Poor's a New York
MILANO - Italia declassata: pochi giorni dopo il fruttuoso incontro Monti-Merkel, la brutta notizia arriva, a borse chiuse, dagli Stati Uniti: si scenda da A+ a BBB+. Per tutto il pomeriggio, si sono rincorse le voci sulla Francia. Fonti governative di Parigi citate dall'Agence France Presse hanno sostenuto che la Francia era fra i paesi a cui è stato tagliato il merito di credito - attualmente 'AAA'. Il ministro delle Finanze francese, Francois Baroin, nel tardo pomeriggio, conferma la notizia. "Non è una catastrofe, tutti i paesi dell'area Euro hanno avuto un declassamento". E ribadisce: non ci saranno ulteriori manovre. "AA+ è ancora un buon rating", ha aggiunto Baroin: "La Francia era stata avvertita che il suo rating sarebbe stato abbassato di un grado". Ma la notizia, circolata ancora a Borse aperte, ha provocato immediatamente effetti negativi sui listini più coinvolti. Alcune piazze europee hanno chiuso al ribasso, pur non arrivando a cedimenti drammatici. L'annuncio ufficiale di Standard & Poor's è atteso dopo le 22, a chiusura della Borsa di New York.

A sera, anche il governo italiano conferma di essere stato informato del declassamento del nostro paese. Annunciata una risposta dell'Eurogruppo "dura e unitaria".

Secondo la Cnbc, Italia, Spagna e Portogallo subiranno un taglio di 2 gradini. Il giudizio sull'Italia scende a BBB+. Il downgrade ha colpito anche altri paesi dell'Eurozona, come l'Austria, secondo quanto riporta il Financial Times, mentre tra i paesi risparmiati dal taglio ci sono Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo.

La giornata dei mercati. Il downgrade annunciato non ha avuto ripercussioni così forti sulla finanza europea. All'insegna del "Ti credo, ma non troppo". Perchè è vero che le Borse sono girate in negativo alla prime voci di 'downgrade' e che l'euro rimane debole, ma il mercato dei titoli di Stato si è mosso poco, con gli spread delle nazioni sotto osservazione rimasti piuttosto stabili.

Lo spread tra il Btp italiano e il bund tedesco ha infatti archiviato l'ultima seduta della settimana 1 in rialzo a 487 punti rispetto ai 479 di ieri, cioè una differenza inferiore ai 10 punti base. Nel corso della giornata il differenziale è anche tornato sopra la soglia psicologica dei 500 punti, ma poi ha ripiegato in chiusura anche grazie all'intervento della Bce sul mercato secondario. I decennali francesi, con la tripla A a rischio, sono cresciuti di tre punti base, quelli spagnoli di nove. Poco più che briciole, per il mercato che è quello cui è rivolto il rating sul debito sovrano.

Insomma niente panico, anche grazie al confortante esito dell'asta dei Btp triennali, così come in Borsa sono maggioritari i segnali di ridotto interesse per le decisioni degli analisti di S&P che la paura che queste possano creare conseguenze gravi. Un esempio: il mercato azionario di Vienna, uno dei nuovi fronti che questo taglio potrebbe aprire, ha chiuso in rialzo (+0,4%) mentre l'indice Stoxx 600, che fotografa l'andamento dei principali titoli quotati sui listini del Vecchio continente, ha ceduto un modestissimo 0,1%.

Dopo una corrente di vendite che nel pomeriggio ha fatto girare i listini, Madrid ha infatti concluso in positivo, Francoforte è stata la più debole tra le Borse principali con un calo di mezzo punto. Ad esclusione di Milano, che ha perso oltre un punto ma che ha pagato soprattutto debolezze 'locali', come quelle di Mps e anche del gruppo Fiat. Unicredit, fortemente esposta in Austria, ha chiuso stabile, e l'indice medio del settore bancario europeo ha finito la seduta azionaria con un aumento di oltre un punto percentuale.

Le manifestazioni in Francia. Decine di manifestanti stanno protestando davanti alla sede parigina di Standard & Poor's. A convocare la manifestazione è stato Jean-Luc Melenchon, leader del Parti de gauche, fuoruscito nel 2008 dal Partito socialista e candidato all'Eliseo. Melenchon ha invitato tutti a "resistere" alla "guerra della finanza contro la Francia". Melenchon sostiene che "la Banca centrale europea deve annunciare immediatamente che presterà alla Francia ad un tasso molto basso. Se non succederà, bisognerà sospendere i versamenti francesi al bilancio dell'Unione europea e coprire le prossime rate con un prestito forzoso sulle banche francesi che sono state rifornite dalla BCE".

LE IMMAGINI: LE MANIFESTAZIONI IN FRANCIA

2Grecia a due facce. La conferma che gli operatori finanziari guardano poco alle macro-notizie viene anche dalla Borsa di Atene, salita del 2% nel giorno in cui l'Institute of international finance (Iif), rappresentante dei creditori privati della Grecia, ha annunciato la sospensione delle trattative 3 sulle modalità di ristrutturazione del debito pubblico di Atene. Cioè si avvicina il default ellenico, ma i mercati l'hanno scontato da tempo. E anche Wall street ha guardato più al deficit commerciale degli Stati Uniti salito a 47 miliardi di dollari in novembre (il massimo da giugno, peggio delle previsioni degli analisti) e ai conti poco ottimistici di JP Morgan.

Discorso leggermente diverso per l'euro, che non riesce a muoversi dai minimi degli ultimi 16 mesi ed è arrivato fino a quota 1,265 contro il dollaro, per poi risalire di qualche frazione. Il problema vero è che non c'è aria di ripresa di economica mondiale, tanto che il petrolio si muove stabilmente sotto quota 100 dollari al barile. Problemi di crescita, più che di rating tagliati, 'outlook' negativi e debiti sotto osservazione.
4
(13 gennaio 2012)

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Azioni e oro hanno superato tutte le crisi del passato

Cronologia articolo07 maggio 2012
In questo articolo

Argomenti: Mercato azionario | Asia | Argentina | Weimar




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Una recessione lunga e dolorosa? La fine dell'euro? Un collasso epocale di tutta l'economia occidentale? I possibili esiti della crisi europea e mondiale sono davvero molti. Tutti difficilmente prevedibili oggi.
Una situazione che rende difficile ogni scelta di investimento sul lungo periodo per l'investitore. Che fare? Per trovare una risposta può essere utile passare in rassegna le grandi crisi economiche del passato e i loro sbocchi finali con l'aiuto di uno studio pubblicato nell'ultimo numero di Check-up, il bollettino di Reichmuth & Co.
Il primo caso discusso è l'iperinflazione, lo scenario più lontano da noi (l'esempio è la crisi di Weimar del 1922-23). Tipicamente si propone dopo un periodo bellico, quando la "monetizzazione" del debito bellico attraverso la stampa massiccia di denaro distrugge il valore del sistema monetario esistente e conduce all'iperinflazione. Sbocco? Una riforma monetaria e creazione di una nuova valuta. Un esempio lontano, nel tempo e nella realtà. Ma alcuni economisti vedono una tentazione iperinflattiva da parte dei Governi per abbattere i debiti pubblici esplosi dopo il 2007-2008.
Più calzante il paragone con la depressione americana del 1929-33, quando l'insostenibilità degli enormi debiti accumulati durante il boom precedente hanno provocato la crisi dei mercati e l'ondata di fallimenti che hanno messo in ginocchio l'economia statunitense. Se ne uscì con svalutazione, ristrutturazione bancaria e reflazione.
Interessante anche l'osservazione di una doppia crisi – debito e sistema bancario – come quelle di Asia (1997), Russia (1998) o Argentina (2001). In questi casi, la ripresa economica è in gran parte finanziata da capitali stranieri attratti da una valuta locale tenuta stabile nei confronti delle principali monete (per esempio, il dollaro). Finchè una recessione economica porta a un arresto improvviso nei flussi di capitali, al crollo dell'economia locale e ai default bancari. Lo Stato diventa insolvente e gli obbligazionisti perdono il valore del loro investimento. Risultato finale? Svalutazione monetaria, riforme strutturali, ristrutturazione del debito e aumento inflattivo.
Infine vi è lo scenario della stagflazione, caratterizzato da crescita debole – o in certi momenti negativa – e dal contenporaneo aumento dei prezzi. Negli Usa, fra il 1973 e il '79, la stagflazione è stata affrontata con una espansione della politica monetaria, una scelta che negli anni successivi ha indebolito il dollaro e fatto crescere i prezzi.
Ma cosa insegna questo breve excursus? «Per esempio che – scrivono gli analisti di Reichmuth – alla fine dei periodi di difficoltà, nei Paesi colpiti, i beni reali (azioni o metalli preziosi) recuperano il valore pre-crisi. Tranne che durante la depressione, al termine della quale i listini valgono meno (ma l'oro è in forte rialzo)». Adesso però siamo ancora nel pieno della crisi economica globale e non si intravede ancora l'evoluzione possibile. Per questo «oggi il focus dovrebbe essere quello di evitare i rischi e non possedere nessun assets dei Paesi coinvolti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-05-07/azioni-hanno-superato-tutte-064016.shtml?uuid=...
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Grecia alle urne il 17 giugno
un magistrato premier ad interim
La sinistra radicale si è opposta al prolungamento del mandato Papademos. Il via libera dei partiti a condizione che il governo non prenda decisioni vincolanti di politica estera. Barroso: "Atene resti nell'euro, ma gli impegni vanno rispettati". L'allarme della Banca centrale: "La gente ritira i soldi dai conti". Boom di emigrati verso la Germania
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ROMA - Le nuove elezioni politiche in Grecia si terranno il prossimo 17 giugno. A portare il Paese alle urne sarà il presidente del Consiglio di Stato, Panagiotis Pikrammenos, che ha avuto l'incarico di premier ad interim fino al voto. Il sito di informazione In.gr afferma che il presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, dopo il fallimento delle consultazioni e dell'ipotesi di un governo di unità nazionale 1, aveva proposto di estendere il mandato di Lucas Papademos fino alle elezioni, ma su questa scelta si sarebbe scontrato con l'opposizione di Alexis Tsipras, leader della coalizione di sinistra radicale Syriza, uscita vincente dal voto dello scorso 6 maggio.

"Il Paese è a un punto critico - ha detto Panayiotis Pikrammenos appena ricevuto l'incarico - . Spero di essere in grado di svolgere il mio compito, il mio sarà puramente un governo di transizione". Il leader del Partito comunista, Aleka Papariga, ha confermato che nell'incontro di oggi con il presidente Papoulias l'accordo con i partiti politici per il governo ad interim è stato trovato proprio sulla sua "provvisorietà". In caso di emergenza le decisioni saranno prese dopo consultazioni con i leader politici e il presidente. "Sarà un governo strettamente provvisorio - ha detto Papariga - , che non dovrà intraprendere alcuna azione a livello dell'Ue o della Nato vincolante per il popolo greco". Un segno chiaro del fatto che il rapporto, gli impegni e le intese con l'Ue e le istituzioni internazionali restano il fulcro della crisi politica e il terreno su cui i partiti si scontreranno nelle prossime tre settimane di campagna elettorale.

La situazione di caos politico e l'incertezza sul futuro del Paese nell'Eurozona hanno intanto accentuato le paure dei risparmiatori. Lunedì, per convincere i partiti a trovare un accordo, era stato il capo dello stato a rivelare che fino ad allora erano stati ritirati 700 milioni di euro dalle banche. Tra lunedì e ieri, invece, secondo fonti bancarie citate dal Financial Times, i correntisti greci hanno prelevato 1,2 miliardi ulteriori dai propri conti, pari allo 0,75% dei depositi totali. George Provopoulos, presidente della Banca centrale, ha scritto a Papoulias avvertendo che la paura dei cittadini può trasformarsi in panico con conseguenze devastanti per l'economia greca e per il Paese.

La recessione, nel frattempo, ha fatto ripartire l'emigrazione verso il Nord Europa. Im Germania, i dati dell'Ufficio statistico federale rivelano che nel 2011 il numero di nuovi arrivi ha sfiorato il milione (960mila), il numero più alto degli ultimi 15 anni e che gli arrivi dalla Grecia sono cresciuti del 90% rispetto al 2010, mentre l'incremento di arrivi degli spagnoli è stato del 52%.

L'Unione europea guarda con estrema preoccupazione allo stallo della crisi greca. Usando al solito bastone e carota, anche oggi il presidente Josè Manuel Barroso ha ripetuto che la Grecia deve restare nell'euro, ma che gli impegni presi vanno rispettati. La decisione, però, ha aggiunto, spetta ai greci, i quali devono sapere che le prossime elezioni "avranno un significato storico". Quanto agli impegni presi dal precedente governo con la comunità internazionale, Barroso ha sottolineato che la Grecia "deve rispettarli" perché "non c'è nessuna alternativa che preveda meno sacrifici" e perché quegli impegni riguardano anche gli altri 16 paesi e parlamenti dell'eurozona.

Anche la Banca centrale europea auspica che la Grecia resti nell'euro. Parlando a un convegno a Francoforte, il governatore Mario Draghi ha detto che da parte del consiglio direttivo della Bce "c'è una forte preferenza" in tal senso: "Dato che nei trattati europei non c'è nulla che contempli l'uscita di un paese dall'area euro - ha detto Draghi - non sta alla Bce decidere". In ogni caso, la Bce "continuerà a perseguire il suo mandato istituzionale di garantire la stabilità dei prezzi e la solidità del suo bilancio".

In serata, Pikrammenos, 67 anni, ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica durante una cerimonia svoltasi nel palazzo presidenziale alla quale ha preso parte, come vuole la tradizione ellenica, anche l'arcivescovo di Atene e tutta la Grecia, Ieronimos. Domattina alle 10 saranno invece i nuovi ministri designati da Pikrammenos a giurare e un'ora dopo si svolgerà in Parlamento la cerimonia del giuramento dei deputati risultati eletti lo scorso 6 maggio. L'Assemblea sarà quindi sciolta ed avrà di nuovo inizio la campagna elettorale.
(16 maggio 2012)

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Differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi ai livelli – altissimi – di gennaio, Piazza Affari (in tandem con Madrid) che sprofonda toccando addirittura quota -5 per cento. Inizia malissimo la settimana dei mercati finanziari per l’Italia e in generale per l’Europa.

E’ ancora alta tensione sugli spread europei. Il differenziale tra il Btp e il Bund tedesco è salito stamani sopra i 510 punti, con il rendimento del decennale italiano al 6,228%. Lo spread ha aperto a 510 e poi è schizzato a 517 e ha superato anche i 520 punti base (528). Valori molto alti che non raggiungeva da gennaio, due mesi dopo l’insediamento del governo Monti. Lo spread tra i Bonos spagnoli e i Bund raggiunge invece i 626 punti: è il massimo storico a 627 punti per un tasso record del 7,45%. Tocca un nuovo record anche il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni della Spagna: il tasso dei Bonos ha raggiunto il 7,40%, un livello mai visto dall’introduzione dell’euro.

A questo si aggiunge l’apertura delle Borse, che aprono come hanno chiuso venerdì scorso, cioè in negativo. Piazza Affari registra un tonfo che arriva al -4 per cento. Milano va a braccetto con Madrid che parimenti sprofonda a -4,3%. Ad appesantire il listino italiano sono i bancari con Ubi Banca (-4,32%), Mps che perde il 2,67% e UniCredit il 3,94 per cento. Male anche le Generali (-3,20%). Raffica di sospensioni al ribasso: tra i titoli congelati Generali, Intesa e UniCredit oltre a Ubi Banca e Azimut. Sugli altri mercati Londra cede lo 0,89%, Francoforte lo 0,99, Parigi l’1,02%.

La settimana dei mercati finanziari si apre quindi ancora all’insegna delle vendite e con lo spread Btp-Bund che vola, ma “difficilmente i mercati faranno peggio di venerdì scorso”. E’ il commento dell’analista di Ig Markets, Vincenzo Longo, che vede l’area di supporto del listino milanese per evitare un ritorno sui minimi di giugno a 12.950-13.000 punti (ora quota 12.600). A mettere in ginocchio i mercati, secondo Longo, “è l’indiscrezione che il Fondo monetario internazionale voglia bloccare gli aiuti economici alla Grecia. Aspettiamo comunque di vedere la reazione dei mercati a New York”. E guardando l’Italia l’esperto ritiene che con uno spread oltre i 500 punti base è necessario attivare uno scudo, considerato inoltre che a questi livelli gli effetti delle manovre del Governo Monti “sono completamente vanificati”.

Sofferenze, in Europa, sottolineate anche dal crollo dell’euro nei cambi con yen e dollaro con indici a loro modo storici. La moneta unica europea va infatti sotto i 95 yen (94,49) per la prima volta in 11 anni (venerdì scorso si era fermato a 95,86). La moneta giapponese, secondo gli analisti, è vista sempre più come il rifugio più sicuro a fronte della crisi dell’eurozona e di un’economia Usa che stenta a ripartire. Nel cambio con il dollaro invece l’euro è sceso sotto la soglia psicologica di 1,21 dollari per la prima volta dal giugno 2010. La moneta unica viene scambiata a 1,2099 dollari contro gli 1,2200 dollari delle quotazioni Bce di venerdì.

Pesa quindi la presunta intenzione dell’Fmi – rivelata dallo Spiegel, smentita dalla Ue – di bloccare gli aiuti alla Grecia e l’incertezza sulla penisola ellenica passa anche dall’attesa per la visita, fissata per domani, della Troika ad Atene. Preoccupato dai mercati? Conta l’economia reale, dice Monti da Mosca; oggi intanto prosegue il suo viaggio in Russia discute di contratti, joint venture e memorandum d’intesa tra società italiane e russe.

Male anche i mercati asiatici: sono negativi a Tokyo, Hong Kong e Mumbai. L’indice Msci dell’area Asia Pacifico ha così perso l’1,6 per cento. A creare tensioni sul mercato ha contribuito il board della Banca centrale cinese che ha previsto una frenata dell’economia della Repubblica popolare e si è detto preoccupato per lo stato di salute della Grecia che potrebbe uscire dall’Eurozona. In questo scenario davanti alle principali Borse asiatiche si è visto il segno meno con Hong Kong che ha perso oltre 2,5 punti percentuali, mentre Tokyo ha sfiorato un calo del 2 per cento, toccando i minimi delle ultime sei settimane.

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Krugman: "La crisi è la vendetta di chi non è stato perdonato"
Secondo il premio Nobel neokeynesiano, la cancellazione del debito pubblico darebbe immediato sollievo all'economia globlale. Ma ciò non avviene per un eccesso di giustizia: qualsiasi remissione del debito sarebbe un brutto esempio dal punto di vista etico

di ANNA LOMBARDI
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14 ottobre 2014



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Krugman: "La crisi è la vendetta di chi non è stato perdonato"
Paul Krugman (afp)
ROMA - L'economia mondiale è sempre più in recessione, i mercati rallentano in tutta Europa, severissima Germania compresa. E non stanno meglio nemmeno le cosiddette economie emergenti dove, dalla Cina al Brasile, produzione industriale e spesa dei consumatori nel secondo trimestre sono scesi a livelli più bassi del 2009, quando pure si era nel pieno della crisi finanziaria. Senza parlare delle crisi impreviste: quella Ucraina che ha fortemente danneggiato l'economia dell'Europa dell'Est e l'epidemia di Ebola in Africa Occidentale, che secondo le previsioni della Banca Mondiale costerà al Continente nero almeno 32 miliardi di dollari, colpendo duramente il Pil dei paesi colpiti. Eppure agli incentivi alla crescita si preferisce ancora il rigore dei conti pubblici.

È la "vendetta di chi non è stato perdonato": così il Nobel per l'economia Paul Krugman definisce in un editoriale sul New York Times lo stato attuale dell'economia globale. Perché la cancellazione del debito pubblico che il battagliero neokeynesiano teorizza da tempo e che, sostiene ancora una volta "darebbe sollievo a tutti", continua a essere lo spauracchio delle Banche Centrali. "La sola idea solleva indignazione, soprattutto ideologica. Rimettere i debiti continua ad essere visto come un lassivismo comportamentale che avrebbe chissà quali conseguenza. Come se le cose - chiosa l'economista - potessero andare peggio di così".

Ci risiamo. Paul Krugman torna a prendersela con quello che definisce "l'assurdo moralismo contro la cancellazione del debito che impone l'austerità". E mai come questa volta i fatti sembrano dargli ragione. Certo, gli Stati Uniti stanno vivendo un momento particolarmente propizio. Soprattutto grazie al mercato del lavoro, in ascesa dopo 3 anni di crescita incostante. Ma ci sono dubbi sul come l'economia americana riuscirà a cavalcare l'onda mentre i suoi partner commerciali affogano.

Il Fondo Monetario ha lanciato l'allarme una settimana fa, "La ripresa economica è più debole rispetto alle previsioni. E più irregolare" ha detto il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.

Krugman veste i panni di Cassandra e per l'ennesima volta dal 2008 fa la conta degli errori politici: austerità quando servivano stimoli, il timore dell'inflazione quando il rischio reale è la deflazione. E tutto per paura che il debito esplodesse sulla scia della recessione. Ma se è così chiaro, si chiede l'economista, perché non riusciamo a uscirne?

"La risposta, credo, sta in un eccesso di virtù. La giustizia sta uccidendo l'economia mondiale". Storicamente, spiega il Nobel, la risposta è sempre stata la remissione dei debiti: "Nel 1930 Roosvelt aiutò a rifinanziare i mutui delle case con altri molto più economici. Durante questa crisi l'Islanda ha annullato una parte significativa del debito accumulato dalle famiglie negli anni della bolla". Più spesso, la riduzione del debito avviene implicitamente, attraverso una sorta di "contenimento economico": politiche governative tese a tenere bassi i tassi di interesse, mentre l'inflazione erode il valore reale del debito. "Ciò che colpisce di questi anni, è quanto poco la riduzione del debito ha effettivamente avuto luogo. Semmai il peso del debito è stato aggravato dal calo dell'inflazione".

Già. Ma, si chiede l'esimio professore di Princeton, perché i debitori ricevono così poco sollievo? "Eccesso di giustizia: qualsiasi tipo di remissione del debito rappresenta un cattivo esempio morale".

Insomma, la risposta politica a una crisi aggravata dal debito eccessivo è la pretesa che i debitori paghino i loro debiti in pieno. Eppure la storia insegna che semplicemente non funziona. Basti pensare agli sforzi della Gran Bretagna alla fine della prima guerra mondiale, quando cercò di pagare il suo debito con enormi surplus di bilancio. Nonostante anni di sacrifici, non fece quasi nessun progresso nel ridurre il rapporto fra debito e Pil.

È quello che sta accadendo ora. I livelli di debito sono in aumento grazie alla scarsa performance economica. "Forse una cattiva notizia - per esempio, la recessione in Germania - porrà fine a questo ciclo distruttivo di virtù". Ma, aggiunge, meglio non contarci troppo...


www.repubblica.it/economia/2014/10/14/news/krugman_crisi_debito-98048133/?re...
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